I trasferimenti del personale della Polizia di Stato

I trasferimenti del personale della Polizia di Stato vengono disciplinati dall’art. 55 del DPR 24 aprile 1982, n. 335.

A seguito della smilitarizzazione della Polizia di Stato con la legge n. 121/1981 le caratteristiche del relativo rapporto di lavoro sono significativamente diverse da quelle dei militari, ma anche da quelle degli altri dipendenti pubblici appartenenti al comparto privatizzato.

La prima assegnazione della sede del personale di Polizia avviene al termine della fase di formazione, sulla base delle direttive d’impiego indicate nel bando. Le successive assegnazioni di sede di servizio avvengono d’ufficio o a domanda dell’interessato.

Il trasferimento d’ufficio deve essere disposto tenendo conto delle esigenze di servizio e anche delle situazioni di famiglia e del servizio già prestato in sedi disagiate.

Al provvedimento si applica la legge n. 241/90, sicché lo stesso deve essere adeguatamente motivato ex art. 3 della stessa legge. La Polizia di Stato è infatti un’istituzione ad ordinamento civile e non militare, e quindi è sottratta alle regole proprie del DPR n. 66/2010.

Vediamo in sintesi i criteri di massima di questi provvedimenti.

Trasferimenti a domanda.

I trasferimenti a domanda possono essere disposti per il personale della Polizia di Stato quando l’istante abbia prestato servizio nella stessa sede ininterrottamente per due anni. Il personale che presta servizio nelle sedi disagiate può invece chiedere il trasferimento anche dopo un anno di permanenza in sede. Le sedi disagiate vengono individuate annualmente mediante decreto ministeriale.

Sulla domanda dell’interessato l’Amministrazione deve valutare: a) le esigenze di servizio; b) le situazioni di famiglia; c) servizio già prestato in sedi disagiate.

Trasferimento d’ufficio.

Il trasferimento d’ufficio è disposto dall’Amministrazione per rispondere ad esigenze di servizio ed è disciplinato dal comma terzo dell’art. 35 D.P.R. n. 335/1982. In questo caso, l’Amministrazione è chiamata ad operare un bilanciamento delle esigenze personali del lavoratore con il corretto funzionamento dell’organo. La motivazione del trasferimento deve pertanto contenere la disamina di entrambi gli interessi, così come prevede la norma.

Quando e come il trasferimento d’ufficio è contestabile dal dipendente.

Il trasferimento d’ufficio è uno strumento di cui l’Amministrazione si serve per migliorare il funzionamento del servizio reso. Nel provvedimento deve quindi emergere intanto il motivo per il quale l’Amministrazione ritiene che quel trasferimento potrà far ottenere questo risultato. Essendo un atto discrezionale, il Giudice non può entrare nel merito del provvedimento. Ciò significa che non può valutare se la scelta operata sia giusta o sbagliata, se cioè condivide o meno la scelta dell’Amministrazione. Il Giudice deve piuttosto verificare se i presupposti dello stesso siano effettivi e la motivazione non sia contraddittoria (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 22.11.2011, n. 6140) o che a monte del trasferimento, “non vi siano ragioni discriminatorie o vessatorie o macroscopicamente incongrue o illogiche ovvero vi sia il difetto dei presupposti fattuali del provvedimento” (Consiglio di Stato Sez. II, Sentenza n. 4071 del 26.05.2021).

In primo luogo – quindi – deve essere indicata una motivazione, l’Amministrazione deve cioè esporre, nel provvedimento, il perché del trasferimento. Tale motivo deve inoltre essere reale. Quindi se il presupposto del provvedimento è – per esempio – la carenza di organico in una determinata sede, questa circostanza deve essere effettiva. Allo stesso modo, le ragioni poste a sostegno del trasferimento devono essere ragionevoli e proporzionate, alla luce delle esigenze familiari eventualmente prospettate dal dipendente.

È stato ritenuto violato Il criterio di proporzionalità, nel caso di trasferimento d’ufficio di un dipendente in un’area geografica eccessivamente distante da quella d’origine (Cons. Stato, Sez. II, Sent., 30.06.2021, n. 4993).

Il trasferimento è ovviamente illegittimo quando è discriminatorio o vessatorio.

Trasferimento per incompatibilità ambientale.

Il trasferimento per incompatibilità ambientale appartiene alla categoria dei trasferimenti d’ufficio (Cons. Stato, Sez. II, 08/05/2023, n. 4586). L’art. 55 D.P.R. n. 335/1981 definisce l’incompatibilità ambientale, per il personale della Polizia di Stato, prevedendo che questa si verifica quando “la permanenza del dipendente nella sede nuoccia al prestigio dell’Amministrazione o si sia determinata una situazione oggettiva di rilevante pericolo per il dipendente stesso“. In primo luogo, pertanto, l’incompatibilità ambientale può concretizzarsi in una situazione nociva per l’Amministrazione. Il prestigio del corpo di polizia deve infatti essere preservato, affinché i cittadini, da un lato, ne rispettino l’autorità e, dall’altro, vi ripongano fiducia. Sotto altro profilo, l’incompatibilità ambientale può riguardare anche la sicurezza dello stesso dipendente da trasferire, il quale, per fatti conseguenti al proprio operato o per vicende che riguardano soggetti a lui vicini, corra dei rischi nella sede ove è in quel momento assegnato o comunque possa svolgere più serenamente il proprio impiego in altra sede.

La giurisprudenza ha sviluppato questi concetti, precisando che “Il provvedimento avente ad oggetto il trasferimento per incompatibilità ambientale del dipendente della Polizia di Stato implica una valutazione che è ampiamente discrezionale e non ha carattere sanzionatorio né disciplinare, ma normalmente tiene conto di situazioni di inopportunità e di disagio vuoi dell’interessato che dei colleghi, della necessità di tutelare il prestigio, il decoro e la funzionalità dell’ufficio, del tipo e dei compiti dell’Ufficio di appartenenza, dell’esigenza di essere comunque al di sopra di sospetti ed equivoci tanto più per un appartenente alla Polizia di Stato cui sono attribuite ordinariamente compiti di particolare rilevanza, complessità e onerosità” (Cons. Stato, Sez. II, 21/06/2022, n. 5116).

L’incompatibilità ambientale riguarda l’organizzazione dell’ufficio e – come si è visto – non è necessariamente dovuta a colpa del dipendente trasferito (cfr. Consiglio di Stato, Sezione III, n. 3784 del 2018), ma scaturisce da situazioni oggettive e spesso indipendenti dalla sua volontà.

La casistica è molto varia e, a parte le più frequenti ipotesi di incompatibilità ambientale dovuta a dissidi di vario genere tra soggetti di pari o di diverso grado, vi sono pure casi nei quali l’incompatibilità può essere dovuta a particolari rapporti di parentela o di vicinanza con soggetti interessati da procedimenti penali.

E’ significativa in questo senso una pronuncia del Consiglio di Stato, secondo la quale “E’ legittimo il trasferimento per incompatibilità ambientale disposto nei confronti di un assistente capo della Polizia di Stato motivato dalla circostanza che il fratello della moglie era stato condannato dalla competente Autorità giudiziaria per un grave omicidio compiuto nella località sede di servizio del poliziotto, senza che possa assumete rilevanza in senso contrario che non vi fossero mende nel comportamento di servizio del medesimo e, in ogni caso, che non fosse venuto meno il rapporto fiduciario con i superiori e i colleghi” (Cons. Stato, Sez. II, 26/05/2022, n. 4212). In questo caso, il poliziotto è stato trasferito a causa di un delitto commesso da un familiare, senza che in nessun modo lui ne fosse coinvolto. Tuttavia, il delitto si era verificato proprio nella località ove il poliziotto prestava servizio, ed in questi casi (soprattutto in località di modeste dimensioni) è frequente il disagio dello stesso dipendente e della comunità interessata, circostanze che certamente finiscono per incidere sul buon funzionamento dell’ufficio, sulla serenità del singolo operatore e sulla fiducia che gli utenti devono riporre nel corpo di polizia. Il trasferimento, in questo caso, consente di ripristinare il corretto funzionamento dell’ufficio, favorendo il miglior rendimento del dipendente trasferito.

Da altra sentenza del Consiglio di Stato, la n. 1913 del 06.04.2010, si può notare come l’incompatibilità ambientale possa derivare da fatti indipendenti dal poliziotto trasferito, e che la modifica della sede possa piuttosto essere finalizzata a preservare la sua sicurezza. A tal proposito, si legge nella pronuncia indicata che “nel caso di specie, è accaduto che il trasferimento del ricorrente è stato disposto a seguito di una perquisizione domiciliare subita dalla persona con la quale all’epoca dei fatti il ricorrente medesimo intratteneva una relazione sentimentale, persona già prima legata (sempre sul piano sentimentale) ad un personaggio di spicco della criminalità organizzata. Tale fatto ha indotto non irragionevolmente la Amministrazione a disporre il trasferimento ad altra sede dell’odierno appellante, sull’assunto che la sua permanenza nella sede barese avrebbe potuto nuocere all’immagine della Amministrazione (nella delicata fase delle indagini penali a carico della predetta persona) e che, peraltro, avrebbe potuto determinare qualche rischio per la stessa incolumità fisica dell’appellante (in relazione a possibili ritorsioni dettate da motivi di gelosia)”.

Quando e come il trasferimento per incompatibilità ambientale è contestabile dal dipendente.

In caso di contestazione in sede giudiziale “il trasferimento per incompatibilità ambientale degli agenti di polizia non rientra nell’ambito dei cosiddetti trasferimenti di autorità del personale militare, sottratti, come tali, alla disciplina della legge n. 241/1990, giacché la Polizia di Stato è ad ordinamento civile, sicché il provvedimento in parola resta soggetto alla normativa relativa al procedimento amministrativo e, quindi, agli obblighi di cui alla citata legge n. 241/1990. Tra tali obblighi v’è quello di motivazione di cui all’art. 3, comma 1, secondo cui devono essere indicati i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria” (Cons. Stato, Sez. III, 17/06/2015, n. 3077).

L’Amministrazione è quindi sempre tenuta a dar conto delle motivazioni del provvedimento di trasferimento e, fra queste, deve ovviamente emergere perché la permanenza del dipendente presso la sede di provenienza possa intaccare il prestigio, il decoro e la funzionalità dell’ufficio, o la serenità e sicurezza del dipendente stesso, ma anche il motivo per il quale l’Amministrazione ritiene che quel trasferimento potrà far cessare tali problematiche.

Anche in questo caso, essendo un atto discrezionale, il Giudice non può entrare nel merito del provvedimento, non potendo quindi valutare se la scelta operata sia giusta o sbagliata, se cioè condivide o meno la scelta dell’Amministrazione. Il Giudice deve piuttosto verificare se i presupposti dello stesso siano effettivi e la motivazione non sia contraddittoria (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 22.11.2011, n. 6140) o che a monte del trasferimento, “non vi siano ragioni discriminatorie o vessatorie o macroscopicamente incongrue o illogiche ovvero vi sia il difetto dei presupposti fattuali del provvedimento” (Consiglio di Stato Sez. II, Sentenza n. 4071 del 26.05.2021).

Il trasferimento è ovviamente illegittimo quando è discriminatorio o vessatorio.

È stato ritenuto inopportuno o comunque non correttamente motivato un provvedimento basto su vicende processuali riguardanti dei familiari di un Vice Ispettore della Polizia di Stato, ma avvenute molti anni prima del provvedimento e quindi non più attuali (cfr. TAR Sardegna n. 137/2023). Allo stesso modo è stato ritenuto insufficientemente motivato un provvedimento di trasferimento per incompatibilità ambientale, perché dall’istruttoria non emergeva il motivo per il quale escludere sedi più vicine a quella di provenienza (T.A.R. Lombardia Brescia, Sez. I, Sent., 26/05/2023, n. 473).

Quel che in pratica può essere contestato, a titolo d’esempio e non esaustivo, è: l’effettiva esistenza dei fatti indicati nel provvedimento di trasferimento; l’eventuale mancanza di motivazione; un motivazione illogica o incongrua; una motivazione che non dia adeguatamente conto della possibilità di accedere a sedi più vicine od ad una modifica delle mansioni.

Trasferimenti ed art. 42bis D.lvo n. 151/2001

L’art. 45 D.lvo n. 95/2017 comma 31 bis prevede che le disposizioni di cui all’articolo 42 bis, comma 1, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, si applicano esclusivamente in caso di istanza di assegnazione presso uffici della stessa Forza di polizia di appartenenza del richiedente, ovvero, per gli appartenenti all’Amministrazione della difesa, presso uffici della medesima. Il diniego è consentito per motivate esigenze organiche o di servizio.

Al fine di chiarire il quadro normativo, occorre specificare che le varie disposizioni sopra indicate hanno dato luogo all’applicazione, anche agli appartenenti alla Polizia di Stato, delle regole proprie del ricongiungimento familiare previste per i dipendenti pubblici, ma con delle limitazioni.

La norma dispone adesso che il genitore poliziotto di figlio di età non superiore a tre anni può chiedere di essere assegnato, anche  in  modo frazionato e per un periodo  complessivamente  non  superiore  a  tre anni, ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l’altro genitore esercita la propria  attività lavorativa.

L’amministrazione dovrà verificare se sussiste un posto vacante e disponibile per la stessa posizione retributiva del richiedente ed, una volta individuata la sede ove poter trasferire il poliziotto, dovrà acquisire l’assenso delle amministrazioni  di  provenienza e destinazione.

Il dissenso è consentito per motivate esigenze organiche o di servizio. Questa è la differenza sostanziale tra le forze di polizia (nonché i militari) e gli altri dipendenti pubblici, per i quali il dissenso deve essere invece limitato a casi o esigenze eccezionali.

Nel concreto, se per i dipendenti pubblici appartenenti al comparto privatizzato l’istanza deve di regola essere accolta, ed il diniego può essere dovuto solo a circostanze eccezionali, per la Polizia di Stato l’amministrazione deve fare una valutazione, dando prevalenza alle esigenze d’ufficio, e, laddove il trasferimento non comporti particolari disservizi concederlo, negandolo nel caso contrario.

La domanda deve essere presentata entro il compimento del terzo anno del figlio ed il trasferimento è fruibile per un triennio, potendo il godimento del beneficio in parola prolungarsi anche oltre il compimento del terzo anno di età minore (in tal senso cfr. T.A.R. Liguria, sez. I, 25 ottobre 2021 n. 904; Cons. St., sez. III, 8 aprile 2014, n. 1677; Cons. St., sez. III, 10 gennaio 2014, n. 51, cit.; T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II, 18 settembre 2020, n. 1011; T.A.R. Piemonte, sez. I, 27 agosto 2020, n. 521; T.A.R. Piemonte, sez. I, 3 aprile 2014, n. 568).

In ordine alla motivazione dell’eventuale diniego la giurisprudenza precisa che l’amministrazione deve indicare le esigenze di servizio che l’hanno determinato (Consiglio di Stato n. 1756/2023), anche se non eccezionali. Il Giudice dovrà verificare se effettivamente tali esigenze sussistano e se siano adeguate.

Trasferimenti ed art. 33 L. 104/1992

La legge tutela il lavoratore dipendente, pubblico o privato che assiste una persona con disabilità in situazione di gravità, che non sia ricoverata a tempo pieno, rispetto alla quale il lavoratore sia:

– coniuge,

– parte di un’unione civile ai sensi dell’articolo 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76,

– convivente di fatto ai sensi dell’articolo 1, comma 36, della medesima legge,

– parente o affine entro il secondo grado,

– parente o affine entro il terzo grado, ma in questo caso solo in caso di mancanza o decesso dei genitori o del coniuge o della parte di un’unione civile o del convivente di fatto, ovvero qualora gli stessi siano affetti da patologie invalidanti o abbiano compiuto i sessantacinque anni di età.

Il comma 5 dell’art. 33 L. n. 104/92 prevede che, in questi casi, il lavoratore ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede.

Questa norma è applicabile alla Polizia di Stato secondo le seguenti specificazioni:

Il c.d. “diritto al trasferimento” è quindi rimesso ad una valutazione relativamente discrezionale dell’Amministrazione ed è soggetto ad una duplice condizione: che nella sede di destinazione vi sia un posto vacante e disponibile e che vi sia l’assenso delle Amministrazioni di provenienza e di destinazione; ne discende che, quand’anche il requisito della vacanza e della disponibilità risulti soddisfatto, il beneficio può essere negato in considerazione delle esigenze di servizio della struttura di provenienza o di destinazione” (cfr. Cons. Stato, sez. III, 8 aprile 2014, nr. 1677), esigenze di servizio, aggiungiamo, che dovranno essere eventualmente esposte, dovendo comunque essere reali e congrue.

Il trasferimento d’ufficio per la pendenza di procedimento penale.

Un particolare caso di trasferimento è quello conseguente alla pendenza di un procedimento penale a carico del dipendente pubblico, per i reati di peculato, concussione e corruzione previsti dagli articoli 314, primo comma, 317, 318,  319, 319-ter, 319-quater e 320 c.p.  e  dall’articolo  3 della  legge  9  dicembre  1941,  n.   1383.

La materia è disciplinata dall’art. 3 L. 27 marzo 2001, n. 97.

In questi caso, ovvero se il dipendente è stato rinviato a giudizio per uno dei suddetti reati, l’Amministrazione deve trasferirlo ad un ufficio diverso da quello in cui prestava servizio al momento del fatto, mantenendo le stesse funzioni, mansioni ed inquadramento. Se sorgessero motivi di opportunità, per il concreto atteggiarsi della vicenda, al dipendente può anche essere affidato un incarico differente. Può infatti accadere – ad esempio – che le mansioni dell’interessato prevedano la gestione di risorse economiche, mansioni che – in presenza di un’imputazione per peculato – è opportuno che non gli vengano assegnate neanche in un’altra sede.

È anche possibile che, per la qualifica rivestita dal dipendente  o per  motivi  organizzativi obiettivi,  non  sia  possibile trasferirlo. In questo caso egli deve essere posto in  aspettativa od in posizione di disponibilità, “con diritto al trattamento economico in godimento salvo che per gli emolumenti strettamente connessi  alle presenze in servizio”.

Se il giudizio penale si conclude, anche in primo grado e senza bisogno del passaggio in giudicato, con il proscioglimento o l’assoluzione, il trasferimento (o l’aspettativa) perde efficacia e l’Amministrazione – entro 10 giorni dalla comunicazione della sentenza – deve di regola riassegnare il dipendente pubblico presso l’originaria sede di servizio. Analogamente il trasferimento perde efficacia decorsi cinque anni dalla sua adozione, senza che il processo si sia ancora esaurito.

In due casi il trasferimento presso la nuova sede può essere mantenuto anche a seguito di assoluzione o decorso dei 5 anni. Ciò può avvenire su istanza del dipendente stesso, che, se vuole rimanere presso la nuova sede, può farne richiesta all’Amministrazione. Può avvenire d’ufficio, qualora la riassegnazione presso la sede precedente costituisca pregiudizio alla funzionalità dell’ufficio pubblico.

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