Procedimento Penale e Disciplinare Polizia
In materia di procedimento disciplinare i termini di cui all’art. 19, 20 e 21 del D.P.R. n. 737 del 1981, previsti, rispettivamente, per la conclusione dell’inchiesta disciplinare, per la prima convocazione del Consiglio di Disciplina e per la notifica del decreto inflittivo hanno carattere ordinatorio (T.A.R. Lazio, sez. I quater, 23 novembre 2022 n. 15526). Ciò significa che un procedimento disciplinare può anche andar oltre questi termini, senza che ciò invalidi la eventuale sanzione finale.
I termini del procedimento disciplinare assumono invece diversa regolamentazione se i fatti hanno dato origine anche ad un procedimento penale.
Il procedimento disciplinare va sospeso in pendenza di quello penale?
La contemporanea pendenza del procedimento penale e disciplinare è stata oggetto della sentenza del Consiglio di Stato, ad. Pl. N. 1/2009 (riportata anche nella sentenza del T.A.R. Sicilia, sez. III, 7 marzo 2022 n. 665). Le norme che regolano l’interazione tra i due procedimenti sono l’art. 11 del D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737 e l’art. 117 del T.U. delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, approvato con il d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3.
Il procedimento disciplinare, secondo la giurisprudenza, non deve essere sospeso nel corso delle indagini penali, ma solo quando il PM ha esercitato l’azione penale.
L’amministrazione deve infatti sospendere il procedimento disciplinare quando le è nota, perché comunicatale ex art. 129 disp. att. c.p.p, l’azione penale esercitata nei confronti del pubblico dipendente. L’azione penale viene esercitata, ai sensi dell’art. 60 c.p.p., con la richiesta di rinvio a giudizio, di giudizio immediato, di emissione di decreto penale di condanna, di applicazione della pena ex art. 447 comma 1 c.p.p., con il decreto di citazione diretta a giudizio e con il giudizio direttissimo.
In questi casi, l’Amministrazione è informata dell’azione penale dal Pubblico Ministero ai sensi dell’art. 129 disp. att.c.p.p., ed è quindi tenuta a sospendere il procedimento disciplinare, ai sensi dell’art. 11 D.P.R. n. 737/1981.
Procedimento disciplinare sospeso o non iniziato a causa della pendenza di quello penale.
L’amministrazione può quindi aver notizia dell’azione penale, senza aver dato inizio ad un procedimento disciplinare, oppure può aver notizia del procedimento penale nel corso di un procedimento disciplinare che già è stato attivato. Nel primo caso non dovrà iniziare il procedimento disciplinare, nel secondo lo dovrà sospendere in attesa della definizione di quello penale come previsto dagli artt. 117 D.P.R. 3/1957 e 11 D.P.R. 737/1981.
Quando l’Amministrazione verrà a conoscenza della sentenza definitiva (primo grado ed eventuali fasi di impugnazione), di condanna o di assoluzione, sarà tenuta a rispettare dei termini perentori.
L’art. 5 comma 4 legge 97/2001 prevede che ”Il procedimento disciplinare deve avere inizio o, in caso di intervenuta sospensione, proseguire entro il termine di novanta giorni dalla comunicazione della sentenza all’amministrazione o all’ente competente per il procedimento disciplinare. Il procedimento disciplinare deve concludersi ((. . .)) entro centottanta giorni decorrenti dal termine di inizio o di proseguimento, fermo quanto disposto dall’articolo 653 del codice di procedura penale”.
Deve quindi essere comunicata la sentenza all’Amministrazione, e per essa si intende la sentenza integrale completa di motivazioni. È una precisazione importante, perché la cancelleria – a norma dell’art. 153ter c.p.p. – è tenuta a comunicare solo il dispositivo della sentenza, mentre solo su espressa richiesta della P.A. deve comunicare la sentenza integrale. Ecco perché è spesso preferibile che lo stesso dipendente notifichi la sentenza integrale all’Amministrazione di appartenenza.
Dal giorno della notifica della sentenza l’Amministrazione ha quindi 90 giorni per iniziare o proseguire il procedimento disciplinare, ed ulteriori 180 giorni per definirlo, ma la giurisprudenza è solita ritenere legittimo il procedimento che – in ogni caso – duri 270 giorni complessivi.
Il termine di 270 giorni deve essere rispettato a pena di invalidità della sanzione eventuale. D’altronde l’Amministrazione avrà tutti gli elementi per compiere le proprie valutazioni, tenuto conto che nella sentenza penale verrà in ogni caso dato conto di come si sono effettivamente svolti i fatti e se il dipendente ne è colpevole o meno.
La sentenza – a sensi dell’art. 653 c.p.p. – ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare in ordine:
– alla sussistenza o meno del fatto
– alla illiceità penale del fatto od alla sua liceità
– al fatto che l’imputato lo abbia commesso o meno
Ciò significa che anche nel caso in cui – ad esempio – il dipendente fosse stato assolto perché il fatto non è illecito penale o perché l’imputato non lo ha commesso, l’organo disciplinare può irrogare comunque una sanzione. Si pensi ad esempio al caso in cui un dipendente sia stato accusato di peculato per essersi appropriato di una somma di denaro, e sia stato assolto non perché quella somma non fosse stata effettivamente sottratta, bensì perché in realtà altri se ne erano appropriati ad insaputa del dipendente. In questo caso, il dipendente assolto in sede penale, potrebbe comunque essere negativamente valutato in sede disciplinare per comportamento colposo, se con maggiore diligenza avrebbe potuto accorgersi dell’illecito altrui ed evitarlo.
L’assoluzione in sede penale, quindi, non sempre corrisponde ad un esito analogo in sede disciplinare.
Procedimento disciplinare definito prima che abbia inizio quello penale.
Come già detto nel corso delle indagini, il procedimento disciplinare non deve essere sospeso. Peraltro, l’Amministrazione potrebbe e/o dovrebbe essere ignara della pendenza di indagini, ma potrebbe pur esserne a conoscenza, perché – ad esempio – il dipendente è stato denunciato proprio dall’Amministrazione.
In ogni caso, vista l’indipendenza del procedimento disciplinare dal quello penale, fin quando non vi sia stata comunicata l’azione penale il procedimento disciplinare deve proseguire.
È possibile pertanto che quando l’Amministrazione sia venuta a conoscenza del procedimento penale, il procedimento disciplinare si sia già concluso con l’applicazione di sanzione. In questo caso, l’Amministrazione, mantenendo ferma la decisione disciplinare, deve attendere la definizione del procedimento penale.
La sentenza penale che definitivamente accerta i fatti e le responsabilità, tuttavia, potrebbe comportare un diverso e più mite trattamento disciplinare. In questo caso, il procedimento disciplinare può essere riaperto ex art. 26 DPR n. 737/1981. Questa norma consente al dipendente, ovvero al suo coniuge superstite od ai suoi figli di riaprire il procedimento disciplinare, laddove siano venuti in possesso di nuove prove che comportino il proscioglimento o l’irrogazione di una sanzione disciplinare di minore gravità. Una sentenza penale di assoluzione può senz’altro essere elemento utile ad ottenere la modifica o la revoca di una sanzione disciplinare.
La logica delle regole appena viste è data dal fatto che l’Amministrazione – in sede disciplinare – non ha poteri di indagine analoghi a quelli del Pubblico Ministero, sicché laddove l’accertamento sia semplice e si abbiano già tutti gli elementi per valutare la condotta del militare, non occorre attendere gli esiti del procedimenti penale, mentre in caso contrario è necessario attendere che la magistratura accerti analiticamente i fatti, acquisendo tutti gli elementi del caso, per poi consentire una più esauriente istruttoria anche in sede disciplinare.
Rilievi disciplinari a seguito della comunicazione di una sentenza penale (l’art. 9 DPR n. 737/1981).
L’Amministrazione può venire a conoscenza di fatti rilevanti dal punto di vista disciplinare, anche a seguito della pubblicazione o comunicazione di una sentenza penale. L’art. 9 DPR n. 737/1981 prevede che quando da un procedimento penale, comunque definito, emergono fatti e circostanze che rendano l’appartenente ai ruoli dell’Amministrazione della pubblica sicurezza passibile di sanzioni disciplinari, questi deve essere sottoposto a procedimento disciplinare entro il termine di giorni 120 dalla data di pubblicazione della sentenza, oppure entro 40 giorni dalla data di notificazione della sentenza stessa all’Amministrazione.
Questa ipotesi è diversa da quella contemplata dall’art. 11 DPR n. 737/1981. L’art. 11 cit. prevede il caso nel quale sia stata esercitata l’azione penale (art. 60 c.p.p.) e quindi non vi sia ancora alcuna sentenza, ma sia soltanto iniziato un processo penale, nel quale il dipendente assume la veste di imputato. In questo caso l’Amministrazione deve sospendere il procedimento disciplinare ed attendere l’emissione della sentenza definitiva, deve cioè attendere la sentenza di primo grado ed, eventualmente, anche quelle conseguenti ad eventuali impugnazioni, fin quando la decisione diventi irrevocabile.
L’art. 9 DPR n. 737/1981 disciplina invece l’ipotesi nella quale non vi sia alcun procedimento disciplinare in corso, ma sia stata emessa una sentenza dalla quale l’Amministrazione venga a conoscenza di fatti rilevanti dal punto di vista disciplinare. Può quindi trattarsi di una sentenza non definitiva e quindi ancora soggetta ad impugnazione. In questo caso, se non lo ha già fatto, l’Amministrazione deve contestare gli addebiti al dipendente interessato entro il termine perentorio di 120 giorni dalla pubblicazione della sentenza o 40 giorni dalla notificazione della stessa (cfr Cons. Stato, Sez. III, Sentenza, 12/05/2016, n. 1893; Cons. Stato, Sez. II, 17/06/2022, n. 4974).
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