La Mobilità nel Lavoro: cosa dice l’Art. 2103 c.c. sulle mansioni inferiori e come tutelarsi

Nel panorama lavorativo moderno, anche per effetto delle frequenti innovazioni tecnologiche, le aziende sono in continua evoluzione.

Le modifiche organizzative sono all’ordine del giorno e, inevitabilmente, incidono anche sulla posizione dei lavoratori. Ma cosa succede quando queste riorganizzazioni aziendali influenzano direttamente le mansioni che vengono affidate al dipendente?

Qui entra in gioco l’art. 2103 c.c., una norma fondamentale per comprendere le regole da seguire ed i diritti da tutelare in situazioni di cambiamento.

1. Cambiamento delle mansioni e tutele del lavoratore

L’art. 2103 del Codice Civile regola la mobilità del lavoratore, ovvero la possibilità che l’azienda modifichi le mansioni attribuite al dipendente in risposta a esigenze organizzative. In particolare, la norma stabilisce tre principi chiave:

– comunicazione scritta,

– congrua motivazione dovuta a ragioni aziendali,

– conservazione della retribuzione

2. La motivazione del cambiamento di mansioni è la modifica degli assetti organizzativi aziendali:

Quando l’azienda affronta cambiamenti che incidono sulla posizione del lavoratore, questi può essere assegnato a mansioni di livello inferiore, purché i nuovi compiti rientrino nella medesima categoria legale.

In pratica, se l’azienda decide di ristrutturare un reparto o adottare nuove tecnologie, potrebbe essere necessario spostare uno o più lavoratori in ruoli diversi, anche con responsabilità ridotte, ma sempre all’interno della stessa categoria legale (le categorie sono quattro: dirigenti, quadri, impiegati, operai).

Non solo le esigenze organizzative aziendali, ma in alcuni casi anche i contratti collettivi possono prevedere tali assegnazioni a mansioni inferiori, sempre a condizione che restino all’interno della medesima categoria legale. Questo strumento contrattuale è utile per permettere di adattare la normativa generale alle specificità di un determinato settore lavorativo ed alle concrete esigenze dell’impresa.

3. Obbligo di comunicazione scritta:

Un ulteriore principio fondamentale stabilito dall’art. 2103 c.c. è l’obbligo di comunicare per iscritto il mutamento di mansioni.

Questo passaggio è essenziale: se la modifica delle mansioni non viene comunicata per iscritto, è considerata nulla, ossia non ha alcun effetto.

4. Conservazione del trattamento retributivo.

Il lavoratore ha inoltre diritto alla conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo di cui godeva prima della modifica. Tuttavia, vi è un’eccezione: gli elementi retributivi legati a particolari modalità di svolgimento della precedente mansione (come, ad esempio, bonus legati a specifiche performance o indennità per condizioni di lavoro particolarmente gravose) potrebbero non essere mantenuti, se non pertinenti alle nuove mansioni.

5. Come un lavoratore può tutelarsi e quando è opportuno farsi assistere da un professionista.

Nelle realtà aziendali più o meno grandi è sempre opportuno valutare con attenzione, anche con l’ausilio di un proprio consulente del lavoro o legale, l’assegnazione delle mansioni ed il corretto inquadramento del lavoratore. Spesso l’interpretazione dei contratti collettivi non è semplice perché questi prevedono dei compiti in maniera astratta, che poi il datore di lavoro deve contestualizzare nella pratica quotidiana dell’attività di impresa. Per lo stesso motivo, per un lavoratore non sempre è semplice valutare se il cambiamento delle proprie mansioni è giustificato o se, invece, è il caso di intraprendere un’azione legale stragiudiziale prima e, eventualmente, giudiziale poi, per ottenere la giusta tutela.

5.1 Come il lavoratore può contestare l’affidamento di mansioni inferiori.

Se il demansionamento non avviene con comunicazioni scritte o se non vi è una reale ragione alla base del mutamento delle mansioni, il lavoratore ha diritto ad essere riammesso alle mansioni che gli spettano per contratto ed al risarcimento del danno.

Il ripristino delle mansioni previste nel contratto è conseguente all’illegittimo demansionamento. Il risarcimento del danno, invece, necessita di essere provato. Deve ciò essere dimostrato che il lavoratore ha subito un danno. Può trattarsi di un danno alla salute dovuto allo stress o di un danno alla professionalità. In ogni caso il lavoratore è tenuto a dimostrare quale pregiudizio ha subito.

5.2 Nel caso in cui il lavoratore non venga solo demansionato, ma piuttosto venga lasciato senza alcun compito e, quindi, sia costretto alla totale inattività, la prova del danno da demansionamento e dequalificazione professionale è più semplice, perché il pregiudizio è presunto (Cass. civ., Sez. lavoro, Ordinanza, 13/12/2019, n. 32982).

5.3 Se il lavoratore svolge alcune mansioni del proprio livello ed altre del livello inferiore?

È certo che il datore di lavoro abbia l’obbligo di far svolgere al proprio dipendente le mansioni per le quali è stato assunto o comunque mansioni equivalenti al livello di inquadramento.

Tuttavia, spesso accade che, pur svolgendo le mansioni proprie, al dipendente venga chiesto di svolgere anche mansioni inferiori. È infatti possibile che il datore di lavoro abbia momentaneamente l’esigenza di far svolgere una determinata mansione ad un dipendente di livello superiore. In questo caso, affinché l’assegnazione di tale mansione inferiore sia legittima, è necessario che si tratti di compiti marginali rispetto a quelli propri del livello del dipendente. È sostanzialmente necessario che, nell’azienda, la funzione principale svolta dal lavoratore sia quella corrispondente al suo livello.

Si pensi ad un lavoratore inquadrato con Contratto collettivo Commercio come addetto al controllo ed alla verifica delle merci (quinto livello), che venga momentaneamente adibito a svolgere il fattorino (sesto livello). Se questa funzione viene svolta solo per qualche giorno, per un’esigenza temporanea od occasionale dell’impresa, l’assegnazione della mansione inferiore può anche essere legittima, perché si tratta di una esigenza momentanea che non farà perdere al dipendente la propria identità nell’impresa. Il suo compito principale resterà quello di addetto alla verifica delle merci.

Diverso è il caso in cui le mansioni vengano svolte con continuità, non per un’esigenza temporanea, ma per una esigenza durevole, perché in questo caso il datore di lavoro dovrebbe assumere un altro dipendente e, per evitare costi ulteriori, sfrutta il demansionamento dei lavoratori già assunti (un caso analogo è stato trattato dalla sentenza della Cass. civ., Sez. lavoro, del 29.03.2019, n. 8910). In questo caso si avrà demansionamento illegittimo.

5.4 Il lavoratore può rifiutarsi di adempiere mansioni inferiori?

In linea di principio, il lavoratore dipendente è soggetto al c.d. vincolo di subordinazione ai sensi dell’art. 2104 c.c. e deve quindi eseguire le direttive dategli dal datore di lavoro. Qualora non lo facesse, incorrerebbe in un inadempimento ed in una sanzione disciplinare che potrebbe anche essere grave.

La Cassazione (sentenza della sezione lavoro della Cassazione n. 836 del 16.1.2018) ha chiarito che il lavoratore, se adibito a mansioni inferiori, non può rifiutarsi, senza avallo del giudice, di eseguire la prestazione richiestagli, può semmai convenire in giudizio il datore di lavoro, affinché sia il Giudice ad ordinare a questi di riassegnare il dipendente alle proprie mansioni.

Il dipendente, quindi, non può autonomamente opporsi alle direttive. È necessario che prima il Giudice valuti se le direttive siano legittime o meno.

Tuttavia, se è vero che la regola generale è che il lavoratore debba adempiere le direttive del datore di lavoro, è anche vero che vi sono delle eccezioni a questa regola. Vi sono infatti dei casi limite nei quali è legittimo che il lavoratore si rifiuti di svolgere delle mansioni inferiori. La stessa Cassazione (sempre nella sentenza n. 836 del 16.1.2018) ha infatti precisato che il rifiuto del dipendente è legittimo, se l’ordine di eseguire le direttive sia tanto grave da incidere in maniera irrimediabile sulle esigenze vitali del lavoratore medesimo.

Se l’esecuzione dell’ordine mettesse a repentaglio la sicurezza del dipendente o di terzi soggetti, allora sarebbe legittimo il rifiuto di eseguirlo. Se – ad esempio- venisse chiesto ad un dipendente di operare su un macchinario pericoloso che non ha mai utilizzato prima, senza adeguata formazione, e ciò comportasse un rischio per terzi o per sé stesso, sarebbe allora legittimo il rifiuto anche senza preventivo intervento del Giudice.

6. È possibile ridurre la retribuzione e l’inquadramento? La modifica del contratto tramite accordi Individuali: Quando e come possono essere stipulati

L’art. 2103 c.c. prevede che, in specifiche situazioni, possano essere stipulati accordi individuali che modifichino le mansioni, la categoria legale, il livello di inquadramento e la relativa retribuzione del lavoratore. Ma cosa significa questo nella pratica?

La procedura vista nei punti precedenti può essere svolta dal datore di lavoro senza il consenso del lavoratore, ma con una semplice comunicazione. In questo caso però il lavoratore conserva il proprio inquadramento contrattuale e la propria retribuzione.

Se il datore di lavoro volesse modificare l’inquadramento del lavoratore e la sua retribuzione dovrebbe intraprendere un procedimento più accurato, stavolta con il consenso del lavoratore.

Vediamo come.

6.1 Sedi di Conciliazione:

Gli accordi individuali devono essere stipulati in sedi particolari, ovvero nelle sedi protette indicate dall’art. 2113, quarto comma c.c. (sede sindacale), o davanti alle commissioni di certificazione. In queste sedi vi è una commissione che ratifica l’accordo che è formata anche da sindacalisti in rappresentanza di datore di lavoro e lavoratore. Questi garantiscono che l’accordo sia frutto di una scelta libera e consapevole del lavoratore, il quale – se affiancato da rappresentati dei lavoratori – può e deve essere attentamente guidato nelle proprie scelte, di modo che si sia certi che abbia compreso il significato e le conseguenze delle scelte che dovrà sottoscrivere.

6.2 Motivazioni dell’Accordo:

La motivazione dell’accordo deve essere specifica. Non si può ricorrere a questa procedura se non per motivi previsti dalla legge.

questi motivi sono la conservazione dell’occupazione, l’acquisizione di una diversa professionalità del lavoratore o il miglioramento delle sue condizioni di vita. Questo significa che, quando l’azienda propone una riduzione del livello di inquadramento o l’inquadramento in mansioni inferiori, lo scopo deve essere quello di far ottenere un beneficio al lavoratore. In una situazione di reale crisi aziendale, l’inquadramento in mansioni inferiori deve avere lo scopo di impedire che il dipendente perda il posto di lavoro (in questi casi di può anche procedere alla riduzione dell’orario di lavoro). In un diverso scenario, è possibile che il dipendente, tramite l’espletamento della mansione inferiore, possa acquisire una diversa professionalità che gli sia utile per la sua vita lavorativa. È infine possibile che il lavoratore, per motivi di salute o per un cambiamento della propria vita personale, abbia difficoltà a svolgere la mansione sino ad allora espletata, cosicché l’inquadramento in mansioni inferiori possa giovargli.

6.3 Riduzione della Retribuzione: Quando è possibile?

Uno dei temi più delicati quando si parla di modifica delle condizioni lavorative riguarda la retribuzione. La domanda che spesso ci si pone è se è possibile una riduzione della retribuzione in caso di accordi individuali? La risposta è sì, ma solo con il consenso del lavoratore, in specifiche circostanze e con precise garanzie.

6.4 Modifica Retributiva Consensuale:

L’art. 2103 del Codice Civile consente la stipula di accordi che includano una modifica della retribuzione, ma solo se tale modifica avviene in un contesto protetto e con il consenso del lavoratore. Questo significa che una riduzione dello stipendio può essere accettata dal lavoratore solo se ritenuta necessaria per conservare l’occupazione, acquisire una nuova professionalità o migliorare le proprie condizioni di vita. La riduzione non può mai essere imposta unilateralmente dal datore di lavoro.

6.5 Salvaguardia dei Diritti del Lavoratore:

È importante notare che, anche in presenza di una riduzione della retribuzione, devono essere salvaguardati i diritti fondamentali del lavoratore. L’accordo non deve essere lesivo della dignità del lavoratore o rappresentare una forma di coercizione. Ad esempio, la riduzione potrebbe essere giustificata in un contesto di crisi aziendale, dove accettare una retribuzione inferiore – come visto – potrebbe permettere al lavoratore di mantenere il proprio impiego.

6.6 Assistenza e Consulenza:

Non solo è necessario che la negoziazione di tali accordi avvenga in sede protetta, ma è anche necessario che il lavoratore sia personalmente assistito da un rappresentante sindacale, da un avvocato o da un consulente del lavoro. Questa assistenza è dovuta per assicurarsi che il lavoratore sia stato informato da un proprio consulente di fiducia ed abbia valutato la legittimità e l’equità della riduzione retributiva proposta, ad abbia compreso se l’accordo è realmente vantaggioso e in linea con la normativa vigente.

6.7 Perché questi accordi sono importanti?

Questi accordi individuali rappresentano uno strumento prezioso per affrontare situazioni complesse. Ad esempio, se un’azienda si trova in difficoltà economica e propone una modifica delle mansioni o del livello di inquadramento per evitare licenziamenti, un accordo stipulato in sede protetta può essere la soluzione per mantenere l’occupazione, garantendo al contempo che i diritti del lavoratore siano rispettati. Allo stesso modo, un lavoratore che desidera cambiare percorso professionale all’interno dell’azienda può utilizzare questo strumento per formalizzare la transizione verso nuove mansioni, con la sicurezza di essere tutelato dal punto di vista retributivo e contrattuale.

7. Se il demansionamento è illegittimo si può parlare di mobbing?

Il Mobbing si ha quando il datore di lavoro perseguita il lavoratore fino ad infliggergli un danno (alla salute, alla carriera, economico etc. (ne parliamo qui).

Il demansionamento si ha solo quando il lavoratore viene assegnato a mansioni inferiori a quelle previste nel suo livello contrattuale.

Mobbing e demansionamento sono quindi concetti diversi.

Il lavoratore può essere risarcito a causa di un demansionamento, anche se l’intento del datore di lavoro non fosse quello di danneggiarlo. È ben possibile che il datore di lavoro, per un difetto di organizzazione aziendale, demansioni il dipendente violando le regole che abbiamo visto.

Si ha invece mobbing quando il datore di lavoro abbia l’intenzione di perseguitare e danneggiare il dipendente. Quindi se il datore di lavoro demansiona il dipendente con l’intento di perseguitarlo e danneggiarlo (circostanza che dovrà essere dimostrata dal dipendente), allora compie mobbing. Se il datore di lavoro demansiona il proprio dipendente, in modo illegittimo, ma senza fare ciò con l’intento di perseguitarlo, non si ha mobbing, ma soltanto demansionamento illegittimo, che è uno scenario ovviamente meno grave del mobbing, ma che – se ha comportato un danno – dà comunque diritto al lavoratore ad essere risarcito (questi principi sono ribaditi dalla sentenza del Cons. Stato, Sez. II, del 12/03/2024, n. 2354).

Conclusione

L’art. 2103 del Codice Civile offre una protezione fondamentale per i lavoratori in caso di modifiche alle condizioni contrattuali, permettendo la stipula di accordi individuali solo in sedi protette e nell’interesse del lavoratore. Sebbene una riduzione della retribuzione sia possibile, deve avvenire con il consenso del lavoratore e con adeguate tutele. Conoscere i tuoi diritti e farti assistere da un esperto durante questi processi è il modo migliore per tutelare il tuo futuro lavorativo.

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