Straordinario nel pubblico impiego: quando spetta il pagamento? La recente sentenza Corte di cassazione Sez. lavoro, n. 4984 del 26 febbraio 2025

Nel pubblico impiego contrattualizzato, la retribuzione delle prestazioni di lavoro straordinario è tema ricorrente di contenzioso. Se, in astratto, il principio dell’equa retribuzione previsto dall’art. 36 Cost. sembra garantire la corresponsione di quanto dovuto per il lavoro svolto, in concreto emergono vincoli normativi e contrattuali che spesso vengono opposti dalle amministrazioni per negare il diritto al pagamento.
La recente ordinanza della Corte di cassazione Sez. lavoro, n. 4984 del 26 febbraio 2025 offre l’occasione di ricostruire una cornice chiara, che tutela il lavoratore, ma individua anche condizioni giuridiche precise per il pagamento del lavoro straordinario.

L’autorizzazione a svolgere straordinario.
Tradizionalmente, si riteneva che il diritto al compenso per lavoro straordinario fosse subordinato alla previa autorizzazione del dirigente, necessaria per accertare la compatibilità della prestazione con le esigenze di servizio e i vincoli di bilancio. La Cassazione (sentenza del 31/01/2017, n. 2509) ha infatti precisato che l’autorizzazione permette di valutare la sussistenza delle ragioni di interesse pubblico e la verifica della compatibilità della spesa con le previsioni di bilancio (esigenza che si evince dalle regole previste dal D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 40 e ss.). Infatti, le parti collettive per i singoli comparti hanno stabilito norme contrattuali che impongono l’autorizzazione dello straordinario.
Tuttavia, bisogna comprendere in cosa materialmente consista l’autorizzazione. È infatti preferibile che, per evitare contestazioni, il lavoratore pubblico ottenga un atto scritto che autorizzi lo straordinario. Tuttavia, laddove lo straordinario venga prestato anche senza l’emissione di questo atto scritto, la liquidazione delle ore aggiuntive è comunque possibile.
Le Sezioni Lavoro della Corte di cassazione (cfr. n. 4984 del 26 febbraio 2025) affermano che:
quando una prestazione, come quella di lavoro straordinario, è stata svolta in modo coerente con la volontà del datore di lavoro o comunque di chi abbia il potere di conformare la stessa, essa va remunerata a prescindere dalla validità della richiesta o dal rispetto delle regole sulla spesa pubblica, dovendosi dare la prevalenza alla necessità di attribuire il corrispettivo al dipendente, in linea con il disposto dell’art. 36 Cost. (Cass., Sez. L, n. 17912 del 28 giugno 2024). Ciò perché, in tema di pubblico impiego contrattualizzato, il diritto al compenso per il lavoro straordinario svolto, che presuppone la previa autorizzazione dell’amministrazione, spetta al lavoratore anche laddove la richiesta autorizzazione risulti illegittima e/o contraria a disposizioni del contratto collettivo“.
In sintesi, non è necessario un atto scritto di autorizzazione allo straordinario, è la sostanza del rapporto organizzativo a determinare il sorgere del diritto: se la prestazione viene resa secondo un assetto organizzativo riconosciuto o tollerato dai dirigenti preposti, essa è retribuibile.

Come agire per vedersi riconosciuto lo straordinario.
Secondo la Corte (sentenza n. 4984/2025), il diritto al pagamento dello straordinario sussiste anche in assenza di una formale autorizzazione, quando la prestazione sia stata resa:
in modo coerente con la volontà del datore di lavoro, anche se implicita;
da un soggetto abilitato a organizzare la prestazione lavorativa (cioè, un dirigente o responsabile dell’ente);
senza che il datore abbia manifestato una volontà contraria o sia rimasto “incosciente” della prestazione.
In questi casi, la giurisprudenza richiama l’art. 2126 c.c., che tutela le prestazioni rese “di fatto”, ritenendole meritevoli di retribuzione se rese con il consenso (anche tacito) del datore, a tutela del principio costituzionale dell’equa retribuzione (art. 36 Cost.).

Cosa deve provare il lavoratore?
Il lavoratore che chiede il pagamento dello straordinario ha comunque l’onere di dimostrare:
L’effettiva esecuzione delle prestazioni eccedenti l’orario ordinario (anche tramite testimoni, se mancano i cartellini);
Il consenso, anche implicito, dell’Amministrazione, che può desumersi dal comportamento dei superiori gerarchici.
Non può limitarsi a rivendicare genericamente di aver lavorato più del dovuto, ma deve collocare la pretesa entro un contesto organizzativo in cui l’amministrazione era consapevole, o non poteva non esserlo, del lavoro svolto.

Il caso dell’autorizzazione implicita e turnazione sistematica
La sentenza Cass. n. 23506/2022 ha trattato un caso molto particolare, ma che spesso accade negli uffici pubblici. Per esigenze di servizio, avviene alcune volte che venga adottata, magari per un periodo particolare, una pianificazione sistematica dei turni, comportante un superamento abituale dell’orario di lavoro.
In tale ipotesi, si è in presenza non tanto di una tolleranza allo straordinario, quanto di un vero e proprio comando, implicito ma inequivocabile.

Il caso dei limiti massimi di ore di straordinario.
A seconda dell’ufficio in questione, vi è spesso un limite massimo individuale di ore straordinarie annue (es. 180 ore secondo l’art. 14 del CCNL Regioni-Autonomie Locali). Queste limitazioni sono poste anche nell’interesse del lavoratore (oltreché della spesa pubblica), e quindi non possono essere invocate per negare la retribuzione di prestazioni effettivamente autorizzate e svolte. In tal caso, negare il compenso equivarrebbe a una violazione dell’art. 2108 c.c. e dell’art. 36 Cost., come chiarito proprio dalla sentenza del 2022 n. 23506.

Conclusioni operative per lavoratori e amministrazioni
L’orientamento consolidato della giurisprudenza consente di affermare che:
Il lavoro straordinario è retribuibile anche in assenza di un’autorizzazione formale, purché eseguito con il consenso implicito dell’amministrazione.
La programmazione sistematica di turni oltre l’orario ordinario è di per sé idonea a far sorgere il diritto alla retribuzione straordinaria.
Le norme sul contenimento della spesa pubblica non incidono sul diritto soggettivo del lavoratore, ma sul piano delle responsabilità dirigenziali.
Il rispetto dei limiti contrattuali non può tradursi in una compressione del diritto costituzionale alla giusta retribuzione.

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