IDEBITO I.N.P.S. – Quando la restituzione non è dovuta
In questo articolo commentiamo la sentenza della sezione lavoro del Tribunale di Palermo n. 3984/2022, che ha visto respingere una richiesta di indebito da parte dell’INPS nei confronti di un’assistita dell’avv. Stefano Conti.
L’art. 128 del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, definisce i “servizi sociali” comprendendovi tutte le attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti ed a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario.
Il sistema previdenziale è infatti predisposto per la tutela del lavoratore, mentre quello assistenziale di ogni cittadino, sia esso lavoratore o non lavoratore, che si venga a trovare in una situazione di svantaggio per le proprie condizioni personali e di salute.
I presupposti per accedere all’indennità di accompagnamento quindi sono:
– essere inabile al lavoro al 100%
– ed inoltre:
- essere impossibilitato a deambulare senza l’aiuto di un accompagnatore;
- oppure non essere in grado di compiere altri atti quotidiani di vita autonomamente.
A differenza di altre prestazioni assistenziali, l’indennità di accompagnamento prevede solo un requisito sanitario e nessun requisito economico. Non vi sono, cioè, limiti di reddito per percepire la prestazione.
Una volta presentata la domanda l’invalido viene sottoposto a visita.
Se dalla visita risultano esservi i requisiti visti prima, l’INPS emette il provvedimento di ammissione al beneficio, con pagamenti a far data dalla domanda.
In questo caso, il comma 8 dell’art. 37 della legge n. 448/1998 prevede che:
venga disposta l’immediata sospensione dell’erogazione del beneficio in godimento e -entro i novanta giorni successivi – venga effettivamente revocato il provvedimento che aveva concesso il beneficio.
Il procedimento che qui commentiamo ha interessato un’assistita dell’avv. Stefano Conti, la quale ha ricevuto un decreto ingiuntivo, richiesto dall’I.N.P.S., per la restituzione di somme erogatele a titolo di indennità di accompagnamento.
In particolare, l’I.N.P.S. ha sostenuto di aver revocato la prestazione dopo aver sottoposto l’invalida a visita di controllo e, nonostante ciò, di aver continuato ad erogarle i ratei dell’indennità di accompagnamento per circa 7 anni.
Secondo l’I.N.P.S. i versamenti sarebbero stati erroneamente versati e quindi rappresenterebbero pagamenti indebiti.
L’indebito (che in generale è un pagamento non dovuto) viene regolato, per le prestazioni assistenziali, dall’art. 52 comma 2 della legge n. 88/1989. Secondo questa norma qualora l’I.N.P.S. continui a corrispondere somme nonostante abbia accertato il venir meno dei requisiti, non può recuperarle, se non nel caso in cui l’indebita percezione sia dovuta a dolo dell’interessato.
Ciò significa che l’I.N.P.S. può ottenere la restituzione delle somme versate, solo se chi le ha ricevute è in mala fede; quindi, se è a conoscenza di percepire somme che non gli sono dovute. L’I.N.P.S. non può recuperare i soldi versati nei confronti di chi invece è in buona fede, cioè di chi non può essersi accorto di percepire somme che non gli sono dovute.
Per quanto giusto sia il principio, spesso dimostrare la buona o la mala fede non è semplice.
Ed in effetti, se l’I.N.P.S. comunica il provvedimento di revoca, oppure se il beneficiario non si presenta alla visita di verifica (in questo caso la decadenza dal beneficio è automatica), quest’ultimo è certamente a conoscenza di non aver diritto alle prestazioni economiche e l’I.N.P.S. può facilmente dimostrare sia di aver correttamente informato l’interessato, sia di averlo convocato regolarmente.
Nel caso concreto, tuttavia, la beneficiaria si è sottoposta alla visita, ma l’I.N.P.S. non ha dato prova di averle correttamente comunicato la revoca del beneficio.
Si legge quindi nella sentenza che “non solo è da escludere l’addebitabilità alla (…..) dell’errore dell’Istituto e dell’erogazione indebita – la stessa, infatti, non si è sottratta alla visita di revisione – ma certamente sussiste in capo alla stessa una situazione soggettiva di affidamento incolpevole”.
In questi casi, il fatto che l’Ente previdenziale continui ad erogare somme non può gravare sul cittadino e, quindi, ai sensi dell’art. 52 comma 2 L. n. 88/1989, non può essergli chiesta la restituzione di quanto percepito.
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